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Channel: Articoli su spaceX - MEDIA INAF

Ruzzolando verso la Luna: ecco il detrito di SpaceX

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Aggiornamento del 13.02.2022: lo stadio in rotta di collisione verso la Luna parrebbe non essere il secondo stadio di un Falcon 9 di SpaceX, scrive Bill Gray dopo un confronto con Jon Giorgini del Jpl/Nasa, bensì uno stadio della missione lunare cinese Chang’e 5-T1.

In queste ore notturne, condivido con voi una spettacolare anteprima freschissima: un paio d’ore fa [il messaggio è arrivato in redazione poco dopo mezzanotte, ndr], i colleghi Albino Carbognani e Roberto Gualandi, in operazione al telescopio Cassini, a Loiano, hanno centrato l’obiettivo catturando l’ultimo stadio del missile Falcon 9 della SpaceX (vettore di lancio dell’osservatorio spaziale solare Dscovr) e dal 2015 in orbita caotica translunare. Al momento dell’osservazione,  il Falcon si trovava circa a mezza via con la Luna, in rotta di avvicinamento a una distanza da noi di 190mila km.

Nel quadrante in basso a sinistra, il Falcon 9 SpaceX in rotta di collisione con la Luna catturato con il telescopio Cassini di Loiano (BO) alle 19:33 dl 7 febbraio 2022. Crediti: A. Carbognani, R. Gualandi / Inaf Oas Bologna

Il “megadetrito” (14 m x 3.66 m di diametro, per un peso a secco di 3 tonnellate) passerà martedì al perigeo per  “l’ultimo inchino”, prima di rimettersi in traiettoria verso la Luna, dove questa volta impatterà il 4 di marzo prossimo.

Dalla sequenza delle osservazioni si nota chiaramente il moto di tumbling, con l’oggetto che mostra una luminosità a “flash”. Sono anche state ottenute accurate misure astrometriche, appena trasmesse al Minor Planet Center americano per il raffinamento dell’orbita e del punto di impatto lunare. Se martedì 8 febbraio il meteo continuerà a favorirci (e grazie alla distanza minima di 40mila km) si tenterà una misura delle armoniche di tumbling e della curva di luce.

È ancora una volta con orgoglio che mi preme dare credito allo sforzo di tutto il gruppo Oas di Ssa/Sst (Space Situational Awareness e Space Surveillance and Tracking) ringraziando, oltreché i colleghi Albino Carbognani e Roberto Gualandi, anche Ivan Bruni, Fausto Cortecchia, Roberto Di Luca, Emiliano Diolaiti,  Silvia Galleti, Matteo Lombini, Laura Schreiber e Giovanna Stirpe.

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

 


Starlink, lancio decimato da una tempesta solare

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Trenino di satelliti Starlink rilasciati nello spazio. Crediti: Wikimedia Commons

Questa volta è andata male, al trenino di satelliti Starlink: dei 49 vagoncini che formavano l’ultimo convoglio spaziale – lanciato con successo da SpaceX giovedì scorso – ne sono deragliati quattro su cinque: fino a 40, fa sapere la società di Elon Musk. All’origine della débâcle, una tempesta geomagnetica che si è abbattuta sui malcapitati satelliti venerdì 4, dunque poche ore dopo il lancio, costringendoli così a rientrare in atmosfera, dove sono destinati a incenerirsi (pare ne sia già stato avvistato uno su Porto Rico). Senza alcun rischio di collisioni o detriti, promette SpaceX, sottolineando come questo evento stia mostrando quanto il team di Starlink abbia fatto per garantire un sistema all’avanguardia nella mitigazione del problema dei detriti in orbita.

Ma com’è possibile che una tempesta magnetica d’intensità nemmeno eccezionale abbia messo in ginocchio un numero così elevato di satelliti?

«Nella fascia di altezze tra 300 e 1000 km», spiega a Media Inaf  Mauro Messerotti, fisico solare all’Inaf di Trieste e senior advisor dell’Inaf per lo space weather, «si muovono i veicoli spaziali posti in orbite basse (Leo, Low-Earth Orbit) come i piccoli satelliti, il telescopio spaziale Hubble e la Stazione spaziale internazionale (Iss), dove l’attrito è molto basso a causa della ridottissima densità dei gas dell’atmosfera, che decresce con l’altezza. Molti di essi orbitano nella termosfera, lo strato di atmosfera terrestre che si estende da 95 a 500 km di altezza. Una perturbazione del campo geomagnetico – dunque una tempesta geomagnetica – determinata dalla compressione della magnetosfera terrestre a opera di una eiezione di massa espulsa dalla corona solare (Cme, Coronal Mass Ejection) arrivata sul nostro pianeta, può trasferire energia alla termosfera, che si riscalda e si espande ad altezze maggiori. In questo modo, strati atmosferici di densità maggiore si espandono verso l’alto. In questa condizione i veicoli spaziali in orbite Leo subiscono un attrito aumentato, e questo ne causa una progressiva diminuzione dell’altezza rispetto a quella originaria fino a precipitare sulla superficie terrestre, quando non abbiano sistemi di propulsione in grado di riportarli alle altezze nominali».

«La compagnia SpaceX», continua Messerotti, «imputa a questo fenomeno la perdita di 40 satelliti Starlink lanciati il 3 febbraio 2022 e perduti il giorno dopo, i cui Gps di bordo avevano misurato un aumento dell’attrito atmosferico superiore a quello che era stato misurato in lanci precedenti. A seguito dell’interazione con una Cme, Il 4 febbraio 2022 il campo geomagnetico è stato moderatamente perturbato in modo intermittente fino alla generazione di una tempesta geomagnetica di classe G1 (il livello più basso). Tale sequenza di perturbazioni minori ha evidentemente trasferito sufficiente energia alla termosfera per determinarne l’espansione, facendo aumentare l’attrito, il che ha impedito ai satelliti Starlink di uscire dalla modalità sicura in cui erano stati posti per precauzione, in modo da fendere l’atmosfera di taglio, e riportarsi nella modalità operativa per raggiungere l’altezza nominale. Quindi sono rientrati nell’atmosfera bassa fino a distruggersi a causa dell’elevato attrito oppure a precipitare sulla superficie».

Se fosse stato possibile prevedere questo effetto sulla termosfera con un anticipo di almeno 36 ore, forse di sarebbe potuto sospendere il lancio. Ma fare una previsione di questo tipo con tale anticipo è ancora un po’ al di là della portata degli strumenti attualmente usati.

Guarda il video dell’avvistamento di un possibile rientro di uno dei 40 Starlink:

 

Slitta a non prima del 26 aprile il lancio della Crew-4

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La navetta Crew Dragon Endeavour ancorata al modulo Harmony della Iss. Crediti: Nasa

Slitta a non prima di martedì 26 aprile il lancio della Crew-4, la missione di cui fa parte anche l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, dell’Agenzia spaziale europea (Esa).

Ad annunciarlo è la Nasa, spiegando che la decisione è dovuta al maltempo, che impedirà almeno fino al 24 aprile il rientro a Terra della missione Axiom-1 (Ax-1), la prima interamente privata a bordo della Stazione spaziale internazionale (Iss).

A far slittare i programmi è il maltempo, che impedisce il rientro in sicurezza della capsula Crew Dragon Endeavour che dovrà riportare a Terra i quattro astronauti della missione Ax-1 arrivati sulla Stazione spaziale il 9 aprile.

Il rientro è stato quindi posticipato in attesa di miglioramenti, previsti solo tra diverse ore, e il nuovo programma prevede lo sgancio della capsula nella notte fra il 23 e il 24 aprile.

Soltanto dopo potrà ripartire il conto alla rovescia per la Dragon Freedom della Crew-4 con a bordo l’italiana Cristoforetti. I tecnici vogliono avere un intervallo di tempo di almeno due giorni per analizzare tutti i dati del rientro della Ax-1 e ripristinare il via alle operazioni di lancio della nuova missione. La prima potenziale opportunità di lancio per la Crew-4 è alle 10:15 (ora italiana) di martedì 26 aprile, con ulteriori opportunità il 27 e 28 aprile.

 

Samantha Cristoforetti è in volo verso la Iss

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Lancio della Crew-4 con un razzo SpaceX Falcon 9 verso la Stazione spaziale internazionale. A bordo gli astronauti della Nasa Kjell Lindgren, Robert Hines, Jessica Watkins e l’astronauta dell’Esa Samantha Cristoforetti. Crediti: Nasa/Aubrey Gemignani

È partita la missione Crew-4, della quale fa parte Samantha Cristoforetti, astronauta italiana dell’Agenzia spaziale europea (Esa) che sarà impegnata per quasi sei mesi sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) per la missione Minerva.

Con lei sulla capsula Crew Dragon Freedom sono Kjell Lindgren, Bob Hines e Jessica Watkins. La Crew Dragon è partita dalla rampa 39A del Kennedy Space Center (Florida) spinta da un razzo Falcon 9 della Space X e l’aggancio alla Stazione spaziale è previsto intorno alle 02:15 di questa notte.

Per AstroSamantha è la seconda missione spaziale, dopo Futura, del 2014-2015.

Il razzo Falcon 9 si alzato dal suolo disegnando un arco nel cielo della notte (le 03:52 ora locale) spinto dai nove motori Merlin a propellente liquido che compongono il primo stadio che è già stato utilizzato in altri tre precedenti lanci spaziali. Il primo stadio si separerà 2 minuti e 39 secondi dopo il decollo per poi fare ritorno e atterrare su una piattaforma galleggiante al largo delle coste della Florida. Il viaggio della capsula Freedom proseguirà spinta dal secondo stadio per un’altra decina di minuti. 11 minuti e 58 secondi dal decollo anche il secondo stadio si separerà e la capsula inizierà il in autonomia il suo viaggio verso la Iss che raggiungerà solo dopo diverse ore: l’aggancio è previsto questa notte alle 2:15 ora italiana.

Tutte le operazioni di lancio sono  procedure in modo regolare e le condizioni meteo sono buone.

Samantha Cristoforetti è sulla Stazione spaziale

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Samantha Cristoforetti. Crediti: Esa

Il veicolo spaziale Crew Dragon Freedom, che porta l’astronauta dell’Esa Samantha Cristoforetti e i suoi colleghi della Nasa Kjell Lindgren, Robert Hines e Jessica Watkins, ha effettuato l’attracco sulla Stazione spaziale internazionale giovedì 28 aprile all’01:37 ora italiana

L’arrivo sulla Stazione segna l’inizio della seconda missione nello spazio di Samantha Cristoforetti, nota come Minerva.

Il viaggio nello spazio della Crew-4

Noto come Crew-4, l’equipaggio composto da Samantha Cristoforetti e i suoi colleghi della Nasa è partito dal Launch Complex 39A presso il Kennedy Space Center della Nasa mercoledì 27 aprile alle 09:52 ora italiana.

Durante il volo, Samantha Cristoforetti ha ricoperto il ruolo di specialista di missione, mentre ora assumerà quello di leader del Usos, con responsabilità delle operazioni all’interno del Segmento orbitale americano della Stazione spaziale internazionale per l’intera durata della sua missione. Il segmento comprende i moduli e i componenti americani, europei, giapponesi e canadesi della Stazione spaziale.

Alla Crew-4 è stato dato il benvenuto a bordo dagli astronauti e astronaute che attualmente abitano la Stazione, tra cui l’astronauta dell’Esa Matthias Maurer, giunto sulla Stazione come membro della Crew-3 e il cui ritorno sulla Terra è previsto a breve.

Due europei in orbita

Josef Aschbacher, direttore generale dell’Esa, afferma che è un evento molto speciale vedere due astronauti europei insieme nello spazio. «È un grande piacere per me vedere non solo la riuscita del lancio e dell’attracco della Crew-4 con Samantha Cristoforetti, ma anche l’incontro in orbita di due astronauti europei estremamente competenti. In qualità di astronauta esperta, Samantha Cristoforetti continuerà a rappresentare l’Europa e a condurre esperimenti europei a bordo della Stazione spaziale per tutta la durata della missione Minerva. Questi esperimenti daranno un fondamentale contributo all’innovazione europea sulla Terra, dallo sviluppo della nostra industria, alla salvaguardia dell’ambiente, all’esplorazione ancora più profonda dello spazio».

Questa opinione è condivisa dal direttore di Esplorazione umana e robotica dell’Esa David Parker, che afferma: «Samantha Cristoforetti è stata un modello eccellente per coloro che attualmente partecipano al processo di selezione per diventare astronauti e astronaute dell’Esa, fornendo consigli, informazioni e ispirazione nell’intero percorso. Come leader dell’Usos, continuerà a essere un’eccellente rappresentante per l’Europa durante i prossimi mesi, che saranno ricchi di scienza, ricerca e operazioni sulla Stazione spaziale internazionale, ai quali guardiamo con grande entusiasmo».

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

 

 

Nuove preoccupazioni sulla luminosità di Starlink

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Gli astronomi affermano di essere preoccupati sia per l’aumento della luminosità dei nuovi satelliti Starlink, sia per quelli più grandi, di seconda generazione. Crediti: Victoria Girgis/Osservatorio Lowell

Mentre dalla rampa di lancio 39A del Kennedy Space Center della Nasa, venerdì 17 giugno, SpaceX ha messo in orbita altri 53 satelliti Starlink – portando il numero totale di satelliti Starlink in orbita a oltre 2450 – dall’altra parte degli Stati Uniti d’America, a Pasadena, solo pochi giorni prima gli astronomi avevano dedicato una tavola rotonda del 240esimo meeting dell’American Astronomical Society a discutere dell’impatto scientifico di queste costellazioni di satelliti.

Gli scienziati temono che l’azienda di Elon Musk decida di tirare i remi in barca nello sforzo di ridurre la luminosità dei suoi satelliti. Il timore è dettato dal fatto che hanno riscontrato che gli ultimi 53 satelliti sono diversi dai precedenti. Si tratta infatti della versione 1.5, nella quale non sono state installate le visiere presenti nei satelliti lanciati nel 2020 per impedire alla luce solare di raggiungere le superfici riflettenti e ridurre quindi la loro luminosità da terra. La scelta di rimuovere le visiere è stata dettata dal fatto che non erano compatibili con i collegamenti inter-satellitari laser installati sulla versione 1.5.

Pat Seitzer, astronomo dell’Università del Michigan che si occupa di valutare la luminosità dei satelliti, ha affermato che la precedente versione dei satelliti – chiamati VisorSats – appariva in cielo di magnitudine 6,5 (prossima al valore raccomandato dagli astronomi per ridurre al minimo l’interferenza con le osservazioni astronomiche) mentre la nuova versione è circa mezza magnitudine più luminosa.

Tony Beasley (Nrao) ha affermato che al Green Bank telescope hanno fatto alcuni esperimenti, riscontrando che le trasmissioni di Starlink sono “abbastanza contenute”. Crediti: Tweet di John Barentine

Un’ulteriore preoccupazione è rappresentata dalla seconda generazione di satelliti Starlink, che saranno significativamente più grandi e potenzialmente più luminosi, anche se la società sta lavorando a nuove tecnologie per mitigare la luminosità dei satelliti Starlink di seconda generazione. È infatti allo studio l’utilizzo di un adesivo a specchio dielettrico da applicare sulle superfici riflettenti che renderebbe i satelliti 10 volte più deboli rispetto a un rivestimento con la vantablack, una delle vernici più scure disponibili in commercio, che presenta scarse prestazioni termiche.

Tuttavia, altri relatori del meeting hanno riconosciuto che SpaceX e altre società stanno compiendo grandi sforzi per ridurre la luminosità dei loro satelliti, che gli effetti sono coerenti con le loro aspettative e che l’impatto sembra essere gestibile. Almeno per ora.

Una seconda vita per Hubble

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Il telescopio spaziale Hubble fotografato nel maggio del 2009 da un astronauta a bordo della navetta spaziale Atlantis. Crediti: Nasa

Da quando è entrato in funzione, nel 1990, il telescopio spaziale Hubble, grazie al suo occhio da 2,4 metri di diametro ha permesso alla comunità scientifica internazionale di compiere molti passi in avanti nella comprensione dell’evoluzione delle galassie, delle stelle, nella scoperta di nuovi pianeti e in moltissimi altri campi dell’astrofisica. Nei suoi trentadue anni di vita Hubble è stato oggetto di ben cinque missioni di servizio volte a correggerne l’orbita, a sostituire o aggiungere nuovi strumenti per migliorarne le già altissime prestazioni. Tuttavia, il telescopio spaziale, che ci ha regalato immagini mozzafiato, sta vedendo la sua orbita deteriorarsi periodicamente a causa del seppur piccolo attrito atmosferico. Infatti, Hubble non ha un sistema di propulsione interno capace di modificare periodicamente la sua posizione e altitudine, la quale era già stata corretta durante le varie missioni di manutenzione, l’ultima avvenuta nel 2009. A causa di questo suo progressivo avvicinamento alla superficie terrestre, gli scienziati della Nasa avevano programmato la fine della sua operatività per il 2030 tramite un deorbitamento controllato e il successivo smantellamento in atmosfera. Ma forse non tutto è perduto, e una seconda vita per Hubble è possibile.

Immagine scattata il 24 aprile 2021 mentre la capsula Crew Dragon Endeavour, della SpaceX, si avvicinava alla Stazione spaziale internazionale. Crediti: Nasa

Lo scorso 22 settembre, infatti, l’agenzia spaziale americana e la Space Exploration Technologies Corporation (SpaceX) di Elon Musk, in collaborazione con il programma Polaris, hanno firmato un accordo non finanziato e non esclusivo – il che significa che anche altre società potrebbero proporre analisi simili con diversi razzi o veicoli spaziali – per lo studio di fattibilità di una nuova missione di servizio volta a utilizzare la capsula Dragon per innalzare l’orbita del telescopio spaziale, riportandola agli originari 600 km di quota, estendendone così l’operatività di altri 15-20 anni. Nei prossimi sei mesi la SpaceX e la Nasa saranno impegnate nel capire le caratteristiche e le capacità della capsula Dragon di eseguire l’incontro con Hubble, il rendez-vous e lo spostamento in sicurezza, sia per l’eventuale equipaggio che per il telescopio, in un’orbita più stabile.

«Questo studio è un esempio entusiasmante degli approcci innovativi che la Nasa sta esplorando attraverso le partnership pubblico-privato», dice Thomas Zurbuchen, amministratore associato per la direzione della missione scientifica presso la sede centrale della Nasa a Washington. «Man mano che la nostra flotta cresce, vogliamo esplorare un’ampia gamma di opportunità per supportare le missioni scientifiche più solide e superlative possibili».

Questa missione, anche se non dovesse concretizzarsi, aprirebbe una nuova finestra di possibilità per lo spazio commerciale e in particolare per la capsula Dragon. Infatti, dimostrare anche solo la fattibilità di effettuare una missione di questo tipo permetterebbe alla capsula di Elon Musk di servire in future missioni spaziali di più ampio respiro.

 

Test riuscito a metà per Starship

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Un’istantanea dei primi momenti del lancio di Starship con il razzo Super Heavy. Crediti: SpaceX

Test riuscito a metà per Starship. La nave spaziale della SpaceX destinata ai futuri viaggi verso Marte è stata fatta esplodere in volo per motivi di sicurezza perché la mancata separazione dal primo stadio del lanciatore la rendeva altamente instabile.

Al momento del lancio non tutti i motori del razzo Super Heavy si sono accesi correttamente e, quando ha cominciato il suo volo, la navetta non è riuscita a separarsi dallo stadio superiore del lanciatore e ha cominciato a ruotare in modo disordinato. A questo punto i tecnici della SpaceX hanno deciso di distruggere la Starship e lo stadio del Super Heavy perché il loro rientro a Terra sarebbe avvenuto in modo incontrollato.

Il lancio è avvenuto da Boca Chica, la base della SpaceX in Texas.

Secondo l’azienda di Elon Musk il test è stato comunque un successo. «Il successo deriva da ciò che apprendiamo e il test di oggi – scrive la SpaceX in un tweet – ci aiuterà a migliorare l’affidabilità di Starship».

Il prossimo test di SpaceX potrebbe avvenire “tra pochi mesi”, ha scritto Elon Musk in un tweet subito dopo il test, congratulandosi con tecnici e ingegneri della SpaceX che hanno costruito la nave destinata a Marte e il razzo Super Heavy. «Congratulazioni alla squadra di SpaceX per l’emozionante lancio di prova di Starship. Ho imparato molto per il prossimo lancio di prova tra pochi mesi».


Ambientalisti Usa fanno causa per i lanci di SpaceX

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Il sito di lancio di Boca Chica (nel riquadro rosso) e dintorni. Fonte: “Final Programmatic Environmental Assessment for the SpaceX Starship/Super Heavy Launch Vehicle Program at the SpaceX Boca Chica Launch Site in Cameron County, Texas”, Federal Aviation Administration, June 2022, p. 91

Il caso riguarda se l’impegno della nazione a preservare l’habitat critico della fauna selvatica e i preziosi paesaggi costieri debba essere sacrificato nel momento in cui ci spingiamo a esplorare il cosmo, una questione con implicazioni nazionali, globali e persino interstellari”. Comincia così la causa che un gruppo di associazioni ambientaliste americane ha presentato contro la Federal Aviation Administration (Faa), l’ente che regolamenta il lancio dei veicoli nello spazio, in merito ai danni ambientali provocati dall’esplosione del primo razzo Super Heavy lanciato da SpaceX il 20 aprile scorso, e in previsione della ventina di lanci programmati nei prossimi cinque anni.

Si tratta anche di stabilire – si legge sempre nell’atto – se le autorità di regolamentazione riterranno responsabili le potenti aziende o se permetteranno loro di ignorare le leggi ambientali semplicemente a causa della loro influenza politica e finanziaria. Nel momento in cui la nazione sta portando avanti l’era moderna del volo spaziale, dobbiamo decidere se proteggere la fauna selvatica e le comunità in prima linea che possono essere danneggiate dal nostro desiderio di raggiungere le stelle, o se lasciare un’eredità di inutile distruzione nella scia rovente dei pennacchi dei razzi.

Ma cominciamo dall’inizio. Lo scorso 13 giugno 2022 la Faa ha emesso un documento di analisi e stima dell’impatto ambientale del nuovo programma di SpaceX in seguito al quale si approvava il lancio di una ventina razzi Starship/Super Heavy entro 5 anni, assieme ai test sui serbatoi, test statici sui motori e la costruzione di ulteriori infrastrutture legate al lancio. Secondo gli ambientalisti, però, l’autorizzazione era stata concessa senza rispettare la legge federale sull’ambiente e in mancanza di una adeguata analisi sugli impatti ambientali del programma e le sue ripercussioni sulla comunità locale.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, nelle ultime settimane, è stata l’esplosione del 20 aprile. Pochi minuti dopo il lancio, il razzo – il primo Super Heavy del programma quinquennale, che al decollo ha danneggiato seriamente la piattaforma di lancio – è stato fatto esplodere per motivi di sicurezza, poiché a causa di un problema nel distacco dello stadio superiore del razzo lanciatore il veicolo ha iniziato a eseguire movimenti poco controllati. Il razzo utilizzato, il Super Heavy appunto, è attualmente il più potente al mondo ed è in grado di contenere fino a 3700 tonnellate di metano liquido per la propulsione.

Una vista da Google Maps sull’area in cui si trova la base di lancio di SpaceX in Texas. Crediti: Google

Durante il lancio, la combustione provoca un’intensa ondata di calore, rumore e luce, percepibili a notevole distanza, e l’onda d’urto ha scagliato grandi pezzi di cemento armato e schegge di metallo a migliaia di metri dal sito. In un tweet, Musk ha infatti ammesso che la piattaforma in cemento non si è rivelata adatta a sostenere il lancio e che stanno lavorando per ultimare una piastra d’acciaio raffreddata ad acqua che servirà al prossimo tentativo, previsto non prima di uno o due mesi. L’esplosione ha poi innescato un incendio di 1.4 ettari (3.5 acri) in un terreno vicino e sollevato una nuvola di cemento polverizzato che si è espansa per più di 10 km a nordovest. Ad essere investiti da tutto questo vi sono terreni di proprietà pubblica destinati alla conservazione, fra cui il National Wildlife Refuge, due parchi statali, una State Wildlife Management Area e una State Coastal Preserve, in cui l’impianto di SpaceX si trova immerso. La preoccupazione degli ambientalisti, come scrivono in un’articolo pubblicato nel sito Center for Biological Diversity, riguarda il fatto che l’area di Boca Chica è una delle regioni più biologicamente diverse del Nord America, ospita numerosi animali selvatici e specie protette, e funge da snodo per le rotte migratorie degli uccelli provenienti dalle vie di comunicazione centrali e del Mississippi che si spostano ogni anno verso nord e verso sud.

A tutto questo si aggiunge il fatto che il materiale esploso si è sparso in un’area superiore rispetto ai circa 280 ettari stabiliti nel piano programmatico della Faa dello scorso giugno, e infine le preoccupazioni per i possibili danni sanitari dell’emissione di particolato in atmosfera. I gruppi ambientalisti sostengono che l’agenzia federale americana non abbia analizzato a fondo i danni ambientali che Starship potrebbe causare sui territori circostanti e i suoi abitanti, e nella causa chiedono di condurre una revisione ambientale completa prima che si predispongano nuovi lanci. Prima di concedere una autorizzazione a lanciare, riporta la Cnbc che ha avuto uno scambio diretto con la Faa, l’agenzia federale completerà quindi la valutazione degli impatti ambientali dell’incidente al fine di stabilire che “qualsiasi sistema, processo o procedura relativi all’incidente non influiscono sulla sicurezza pubblica”.

Infine, non manca una menzione ai danni sociali. La base di lancio è circondata da un’area biologicamente diversificata in cui risiedono diversi animali selvatici protetti e in cui si trova anche la spiaggia di Boca Chica. Proprio per via delle attività di SpaceX l’accesso alla spiaggia viene interdetto per circa 100 giorni all’anno. “Queste chiusure – si legge nella causa – hanno un impatto negativo significativo sulla comunità locale, tra cui la Nazione Carrizo/Comecrudo del Texas, che considera Boca Chica un sito sacro, e altri che fanno affidamento sulla spiaggia per la ricreazione e la pesca di sussistenza”.

Per saperne di più:

  • Leggi le Faq della Federal Aviation Administration (Faa) riguardo la revisione ambientale eseguita nell’area di Boca Chica, in Texas

Euclid, lancio in calendario per sabato primo luglio

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Euclid, si lancia. È stata fissata la data per la partenza di una delle missioni scientifiche più ambiziose della storia, ideata e realizzata dall’Agenzia spaziale europea. Il giorno è stato reso pubblico oggi, in un comunicato stampa e con un post su Twitter: sarà il 1° luglio alle 17:12 ora italiana, mentre la data di lancio di riserva è il 2 luglio. Nel frattempo, la navicella è stata rifornita del carburante che le serve per arrivare nel suo punto di parcheggio, il punto lagrangiano secondo del sistema solare (L2). Le operazioni sono cominciate nella giornata del 19 giugno in un impianto Astrotech vicino a Cape Canaveral, in Florida, dove il satellite verrà lanciato a bordo di un razzo Falcon 9 fornito da SpaceX.

Euclid viaggerà con due tipi di propellente: idrazina e azoto gassoso. Dieci propulsori che funzionano a idrazina forniranno la propulsione chimica che lo guiderà fino al punto L2 di Lagrange del sistema Sole-Terra, che gli consentirà di eseguire le manovre mensili per rimanere in orbita e, infine, che servirà a smaltire la navicella al termine della missione. In tutto, sono 140 i chili di idrazina immagazzinati nel serbatoio centrale. L’operazione di rifornimento della navicella è delicata perché il carburante a base di idrazina è altamente tossico. Gli esperti che devono eseguirla, pertanto, come si vede nell’immagine, indossano ciascuno una tuta protettiva di isolamento atmosferico chiamata “scape” (Self-Contained Apparatus Protective Ensemble).

Euclid durante le operazioni di rifornimento carburante avvenute lo scorso lunedì 19 giugno, giugno in un impianto Astrotech vicino alla base di lancio di Cape Canaveral, dalla quale il satellite partirà il prossimo 1 luglio. Crediti: Esa

L’azoto gassoso, invece, verrà utilizzato per far funzionare dei micropropulsori che garantiranno a Euclid un puntamento sempre preciso e stabile durante le osservazioni. Questo è fondamentale, dal momento che la riuscita scientifica della missione non può prescindere dalla capacità del telescopio di acquisire immagini di altissima qualità. I propulsori sono sei, e l’azoto necessario ad alimentarli – 70 kg in totale – è immagazzinato in quattro serbatoi ad alta pressione: questo quantitativo dovrebbe bastare per l’intera durata (nominale) della missione.

Euclid ci metterà circa un mese per raggiungere la sua destinazione. Durante il viaggio, il telescopio e gli strumenti saranno accesi, il telescopio sarà messo a fuoco e gli strumenti testati. Dopo una successiva fase di calibrazione di due mesi, Euclid inizierà le operazioni scientifiche che dovrebbero durare circa sei anni.

«Dopo 12 anni di sviluppo tecnico e di preparazione scientifica», dice Yannick Mellier, responsabile del consorzio Euclid e astrofisico presso l’Institut d’Astrophysique de Paris (Iap) in Francia, «siamo arrivati alla seconda fase della missione, quella che ci dirà qual è la natura dell’energia oscura».

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

 

Partita la missione europea Euclid

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Crediti: SpaceX

Nasce da lontano la conoscenza della geometria che, grazie al matematico e filosofo greco Euclide, ha rivoluzionato la misura dello spazio, anche con le leggi che portano il suo nome. Euclid, non a caso, è anche il nome della missione appena decollata da Cape Canaveral. Si tratta di un programma scientifico dell’Esa, uno dei più ambiziosi nel quale l’Italia, attraverso l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), gioca un ruolo da protagonista. Il satellite Euclid ospita un telescopio a specchio di 1,2 metri di diametro e due strumenti scientifici, il Vis (Visible Instrument) e il Nisp (Near Infrared Spectrometer Photometer), che avranno l’obiettivo principale di osservare il cielo extragalattico con lo scopo di ottenere immagini con altissima risoluzione e misurare gli spettri di milioni di galassie.

Lo scopo scientifico di Euclid è comprendere dettagliatamente la natura della materia oscura e dell’energia oscura, uno dei temi di maggiore interesse nell’astrofisica moderna in quanto queste due componenti, misteriose e invisibili, costituiscono il 95 per cento della composizione dell’universo. La missione raggiungerà questo obiettivo attraverso l’osservazione e lo studio di due fenomeni cosmologici diversi e indipendenti: il lensing gravitazionale debole, cioè l’apparente distorsione dell’immagine delle galassie dovuta alla distribuzione non omogenea della materia oscura lungo la linea di vista, e le oscillazioni acustiche della materia visibile (detta barionica) e il clustering delle galassie. Questo studio combinato porrà vincoli sull’equazione che descrive le proprietà dell’energia oscura, potendo permettere di capire se, ad esempio, questa evolva con l’espansione cosmica o sia necessario considerare modifiche alla teoria della relatività generale di Einstein. Euclid, che ha una massa di circa 2100 chilogrammi, è stato lanciato oggi dalla piattaforma numero 40 della base di Cape Canaveral Space Force Station con un vettore Falcon 9 e sarà posizionato, nelle prossime settimane, in orbita attorno al punto lagrangiano L2, uno dei punti di equilibrio gravitazionale del sistema Sole-Terra, a 1,5 milioni di km dal nostro pianeta.

«Con il lancio di Euclid si inaugura una nuova era per la cosmologia», commenta Marco Tavani, presidente Inaf. «È sconcertante pensare come il 95 per cento dell’universo continui a sfuggirci, nonostante gli enormi balzi nella comprensione del cosmo realizzati negli ultimi decenni. Cos’è la misteriosa materia oscura, che tiene insieme le strutture cosmiche e supera di circa cinque volte quella visibile? E l’energia oscura, ancor più elusiva, che guida l’attuale espansione accelerata del cosmo? Sono questi gli affascinanti interrogativi che affronterà Euclid, un’incredibile missione spaziale europea, di cui l’Italia è tra i maggiori partecipanti. Al nostro Paese fa capo infatti circa un quarto di tutto l’impegno necessario per realizzare e far funzionare il satellite, nonché per sfruttare i risultati scientifici della missione. L’Istituto nazionale di astrofisica ha il prestigioso e delicato compito di guidare l’intero Science Ground Segment, che coordina l’elaborazione e l’analisi dell’immensa mole di dati raccolti dalla sonda, una volta inviati a terra. Ha inoltre progettato il software per i due strumenti di bordo, il cervello scientifico della missione, e gestirà, una volta in volo, le operazioni di uno di essi, lo spettrografo per il vicino infrarosso Nisp».

«Oggi è un altro importante giorno per lo spazio italiano sia sotto l’aspetto scientifico sia industriale. Il lancio di Euclid», sottolinea Teodoro Valente, presidente Asi, «aprirà nuove strade alla comprensione di noi e dell’universo che ci circonda. Missioni di questo calibro sono la conferma del ruolo che gioca la ricerca scientifica nello sviluppo della conoscenza e della crescita a tutto tondo. Un importante programma nel quale l’Asi ha coordinato un insieme importante realtà nazionali, un lavoro che ci permette di metterle a disposizione di un ambizioso progetto europeo il patrimonio di saper fare e che fa salire il nostro Paese sul palco dei protagonisti. Euclid, che ha visto la collaborazione di oltre 200 fra scienziati e ricercatori italiani, rappresenta una eccellenza che rende lustro alla filiera spaziale italiana».

«Euclid rappresenta la prima iniziativa Infn dedicata al tema dell’energia oscura», aggiunge Antonio Zoccoli, presidente Infn. «L’Istituto nazionale di fisica nucleare ha infatti contribuito alla realizzazione dello strumento Nisp e ora collaborerà all’analisi dei dati che saranno raccolti dal telescopio, mettendo a disposizione anche risorse di calcolo, con l’obiettivo principale di focalizzarsi sullo studio dell’energia oscura e sulla misura della massa del neutrino. Se le ricerche sull’energia oscura rappresentano perciò una novità per il nostro Istituto, quelle dedicate alle misure dirette e indirette delle proprietà dei neutrini rientrano invece tra le ricerche di punta dell’Infn, che, grazie alla sua partecipazione a Euclid, potrà ora integrare le proprie attività e la sua lunga tradizione in questo settore con una nuova tipologia di dati acquisiti con tecniche di tipo astrofisico».

Infografica sugli strumenti Vis e Nisp di Euclid. Crediti: Esa

L’Asi, in collaborazione con l’Inaf e l’Infn, ha guidato il team industriale che ha progettato e realizzato i contributi agli strumenti, formato da un’Associazione temporanea d’imprese con Ohb Italia mandataria, Sab Aerospace e Temis mandanti mentre la leadership per la realizzazione della piattaforma è stata affidata da Esa a Thales Alenia Space Italia del gruppo Leonardo.

L’Asi, inoltre, supporta l’Inaf nell’importante ruolo di guida del Science Ground Segment e per lo sviluppo del software di bordo dei due strumenti e tutti gli enti di ricerca per le attività nei Science Working Groups. Infine l’Asi ha affidato ad Altec le attività industriali per la progettazione e la realizzazione del Science Data Center italiano della missione sotto la guida di dell’Inaf. Ulteriori risorse di calcolo necessarie per l’analisi dati e per le simulazioni dei risultati scientifici saranno inoltre fornite alla componente italiana della missione dall’Infn.

In Euclid sono coinvolti oltre duecento scienziati e scienziate italiani, appartenenti all’Inaf, all’Infn e a numerose università, in primo luogo l’Università di Bologna e poi Università di Ferrara, Università di Genova, Università Statale di Milano, Università di Roma Tre, Università di Trieste, Sissa e Cisas.

Al lancio seguirà un’intensa fase di tre mesi di test e calibrazione del veicolo spaziale e degli strumenti scientifici in volo, in preparazione alle osservazioni. Nell’arco di sei anni, Euclid osserverà un terzo del cielo con precisione e sensibilità senza precedenti. Alla fine della sua vita operativa, prevista al momento intorno a sei anni, Euclid avrà prodotto immagini e dati fotometrici per più di un miliardo di galassie e milioni di spettri di galassie, dati che saranno di grande importanza anche per molti altri settori dell’astrofisica.

L’Agenzia spaziale italiana ha partecipato, inoltre, alle operazioni di lancio monitorando il satellite dalla sua base di Malindi, il Luigi Broglio Space Center, in Kenya. Le stazioni di terra del Broglio Space Center sono localizzate in una posizione privilegiata per osservare gli eventi chiave della missione. La base di Malindi ha, quindi, effettuato attività di supporto sin dalle prime fasi di partenza tracciando la traiettoria del vettore Falcon 9 e acquisendo il primo segnale di Euclid appena 30 minuti dopo il decollo, per poi eseguire il monitoraggio fino a sei ore dopo la partenza.

Per saperne di più:

Rivedi la live del lancio sul canale YouTube dell’Esa:

 

Il volo di Psyche

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Al Kennedy Space Center, a bordo di un razzo Falcon Heavy di SpaceX, è appena partita la missione Psyche. Crediti: Nasa/SpaceX

Alle 16.19 (ora italiana) di oggi, venerdì 13 ottobre, le dieci del mattino in Florida, al Kennedy Space Center, a bordo di un razzo Falcon Heavy di SpaceX, è partita la missione Psyche. Nonostante la tempesta e il vento forte di ieri, nonostante il tempo non fosse dei migliori nemmeno oggi.

È la prima missione scientifica della Nasa a usufruire di un razzo pesante della compagnia di Elon Musk e, una volta fuoriuscita dall’atmosfera terrestre utilizzerà i suoi propulsori alimentati da una coppia di massicci pannelli solari per raggiungere la fascia principale degli asteroidi. Dovrà percorrere oltre 3.5 miliardi di chilometri per raggiungere 16 Psyche, un corpo roccioso largo circa 280 chilometri e ricco di metalli. Il cuore di uno dei planetesimi che ha contribuito alla formazione dei pianeti rocciosi del Sistema solare, pensano gli scienziati, oppure un oggetto primordiale con caratteristiche del tutto inedite.

Psyche è stato scoperto nel 1852 dall’astronomo italiano Annibale de Gasparis. Il numero 16 che precede il nome significa che è stato il sedicesimo asteroide scoperto, mentre Psyche deriva dalla mitologia greca, in cui era una fanciulla talmente bella da far innamorare perdutamente di sé Eros, il dio dell’amore, e da suscitare l’invidia della dea Afrodite.

«Questo lancio è motivo di orgoglio ed emozione», dice a Media Inaf Marcella Marconi, direttrice dell’Inaf di Capodimonte dove De Gasparis condusse i suoi studi. «Non solo per soddisfare un’altra curiosità scientifica sulle nostre origini, ma anche per rendere omaggio a un grande astronomo del passato con cui sarebbe stato bello condividere questo momento».

Questo grafico mostra, guardando da sopra il piano in cui giacciono i pianeti del Sistema solare, il percorso a spirale che seguirà la missione Psyche per raggiungere l’omonimo asteroide. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Cosa sia esattamente 16 Psyche e quanto abbia a che fare con il nostro passato, saranno gli strumenti a bordo del satellite a dircelo: nelle dimensioni di un piccolo van ci sono un magnetometro, uno spettrometro a raggi gamma e neutroni e un imager multispettrale per studiare l’asteroide e la sua composizione. La missione comincerà a mandarci foto dell’asteroide non appena lo individuerà fra gli altri copri della fascia principale, ma per arrivarci impiegherà poco meno di sei anni. La sua orbita sarà una sorta di spirale, come potete vedere nell’infografica accanto, con una tappa intermedia a maggio 2026 che prevede una manovra di “assistenza gravitazionale” (detta più comunemente fionda gravitazionale) attorno a Marte.

Quel che sappiamo finora è che si tratta di un asteroide irregolare di forma simile a una patata. Se fosse tagliato a metà orizzontalmente all’equatore – immaginando un ovale schiacciato – misurerebbe circa 280 chilometri di diametro nel punto più largo e 232 chilometri in lunghezza. Ha una densità stimata tra i 3.400 e i 4.100 chilogrammi per metro cubo, un valore che deriva dal fatto che probabilmente l’asteroide è costituito da una miscela di roccia e metallo, dove quest’ultimo occupa dal 30 al 60 per cento del suo volume.

Se Psyche è davvero un nudo nucleo planetario, sarà come fare un viaggio al centro di Marte, o della Terra, e vederli com’erano quando si sono formati. Potrebbe essere stato privato dei suoi strati esterni da violente collisioni durante la prima formazione del Sistema solare. Oppure no. Non resta che attendere di vederlo da vicino, nel 2029.

«Il lancio è stato eccezionale», commenta Simone Marchi, ricercatore alla Space Science and Engineering Division del Southwest Research Institute di Boulder in Colorado, negli Stati Uniti, e Co-Investigator della missione Psyche, che ha assistito al lancio. «La cosa che mi ha colpito di più è stata la lunghezza della fiamma che dalla prospettiva con cui guardavo io era almeno tre o quattro volte la lunghezza del razzo. Una cosa immensa. Qualche minuto dopo abbiamo visto i booster rientrare e atterrare e la cosa che ha sorpreso tutti è la velocità elevatissima alla quale sono arrivati a terra: da quando li abbiamo visti spuntare in alta atmosfera a quando sono atterrati saranno passati quattro o cinque secondi al massimo, e all’ultimo momento hanno acceso il motore per decelerare. Poi, qualche secondo dopo ancora, sono arrivati i boom dovuti al rientro supersonico che sono sembrati delle cannonate e ci hanno colti tutti di sorpresa. Insomma, è andato tutto bene e ora non resta che sperare che lo stesso avvenga nelle prossime fasi, che saranno altrettanto importanti».

Per un’etica dei voli spaziali: linee guida su Science

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L’astronauta americano Bruce McCandless. Crediti: Nasa

A oltre cinquant’anni dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico – che designava lo spazio come una “provincia per tutta l’umanità” – l’era della space economy, con ingenti investimenti pubblici e privati, ha permesso all’industria del volo spaziale commerciale di espandersi a dismisura, aprendo uno scenario molto più ricco di opportunità rispetto alle sole missioni governative. Questo settore emergente avrà un impatto globale, creando un nuovo indotto lavorativo e facendo volare migliaia di persone nello spazio nei prossimi decenni.

L’etica della ricerca che coinvolge risorse umane sulla Terra è regolata da norme e politiche ben consolidate, ma non è affatto altrettanto chiaro quali regole e misure normative si applicheranno ai partecipanti dei voli spaziali nel settore privato, che porteranno avanti programmi di ricerca anche per il settore pubblico. Le aziende private hanno l’obbligo di condividere i benefici della conoscenza derivanti dalle loro attività di ricerca spaziali nella società? E come dovrebbero essere bilanciati i rischi e i benefici della ricerca sui voli spaziali? Queste sono alcune delle domande in sospeso e a cui è necessario dare risposta nell’interesse pubblico di tutti, considerato che, anche se la stragrande maggioranza dei cittadini non è coinvolta direttamente nelle attività spaziali, tutta la società ha il diritto di beneficiare delle ricadute della ricerca scientifica.

Come rendere la ricerca sempre più sicura e inclusiva – nonché fare il punto sulle potenziali preoccupazioni etiche che caratterizzano il futuro della ricerca spaziale commerciale – è il fulcro delle linee guida etiche proposte nel documento “Ethically cleared to launch? Rules are needed for human research in commercial spaceflight”, pubblicato su Science alla fine di settembre. Il lavoro è frutto della consultazione di un comitato multidisciplinare – composto da circa trenta persone tra bioeticisti, esperti di politica sanitaria e salute spaziale, ricercatori, professionisti del volo spaziale commerciale e autorità governative – durante un workshop tenutosi presso il Banbury Center del Cold Spring Harbor Laboratory di New York e finanziato dal Baylor College of Medicine di Houston.

«Mentre esistono chiare linee guida etiche per le missioni spaziali di ricerca sponsorizzate con finanziamenti governativi, ne esistono poche per condurre una ricerca responsabile nel settore commerciale», dice Vasiliki Rahimzadeh del Centro di etica medica e politica sanitaria del Baylor e prima autrice dell’articolo. «È giunto il momento di sviluppare questo quadro etico, e deve trattarsi di uno sforzo multidisciplinare che coinvolga il settore pubblico e privato».

Test di volo senza equipaggio con il lanciatore Super Heavy. Crediti: SpaceX

La proposta si sviluppa sostanzialmente intorno a quattro principi guida: la responsabilità sociale, l’eccellenza scientifica, il bilancio tra i rischi e i benefici, e la gestione globale.

La responsabilità sociale dei voli spaziali commerciali è rappresentata dal fatto che la maggior parte di questi dipende attualmente sia da finanziamenti pubblici che da sponsorizzazioni private. I servizi di volo spaziale sono possibili grazie agli attuali investimenti pubblici nella ricerca, molto più ingenti rispetto al passato. Pertanto il settore pubblico ha un ruolo importante nel contribuire agli interessi commerciali delle aziende, e i dati che si basano sugli investimenti pubblici nella ricerca spaziale dovrebbero essere trattati come risorse della comunità.

Che non si possa transigere dagli standard di eccellenza scientifica è chiaro. Studi mal progettati, non originali e non prioritari generano dati di scarsa qualità, sprecando risorse preziose. Un progetto scientifico non ottimale ha effetti negativi anche nel settore degli affari privati: una pratica rigorosa della scienza si traduce in una pratica commerciale di successo.

La ricerca sui voli spaziali, come gli altri ambiti della ricerca che coinvolga esseri umani, è lecita solo se massimizza il suo valore sociale e riduce al minimo la probabilità di danni ai membri dell’equipaggio e ad altri partecipanti, considerato che la ricerca spaziale comporta rischi aggiuntivi rispetto a quella condotta a Terra. La proporzionalità tra questi due fattori dovrebbe essere regolata in modo responsabile.

Infine, è auspicabile una gestione globale dei benefici dell’esplorazione umana dello spazio e le sue risorse dovrebbero essere godute da tutti. La ricerca effettuata nello spazio dovrebbe quindi coinvolgere ed essere condotta da individui e comunità rappresentative dell’intera umanità, diventando quindi anche inclusiva.

Oltre a tutto ciò, le linee guida sottolineano la necessità di chiarire alcune prassi relative al consenso informato, alla protezione dei dati e alle misure di sicurezza per ridurre al minimo i rischi per la salute dei partecipanti, ma soprattutto raccomandano l‘uso responsabile di tempo e delle risorse naturali, così da tenere conto in modo completo ed equilibrato degli interessi della società, delle generazioni future e delle altre specie.

La proposta di questo nuovo quadro etico giunge in un momento critico per la pianificazione del futuro dei voli spaziali commerciali, in cui il vuoto normativo è destinato a creare tensioni crescenti nelle collaborazioni internazionali. L’amministrazione Biden ha confermato la fine della missione della Stazione spaziale internazionale nel 2030, chiudendo di fatto decenni di cooperazione sull’unica piattaforma di ricerca condivisa con le altre nazioni. Gli accordi internazionali, tra cui il Trattato sullo spazio extra-atmosferico, tacciono sul fatto che i principi per l’esplorazione pacifica dello spazio umano siano insufficienti se applicati alla ricerca umana sponsorizzata anche da aziende commerciali. Inoltre, scadrà alla fine del 2023 la moratoria sulla regolamentazione del settore dei voli spaziali commerciali da parte della Federal Aviation Administration. Queste lacune nelle politiche spaziali minacciano l’industria, ostacolano la collaborazione scientifica tra partner pubblici e privati e limitano il trasferimento dei benefici della ricerca verso la società.

In che modo questa proposta potrà diventare concreta? Per dimostrare il loro impegno alla cooperazione globale e alla gestione responsabile delle fonti spaziali, le aziende private – concludono gli autori del documento – dovrebbero emanare politiche per garantire che la ricerca che sponsorizzano sia condotta in modo socialmente responsabile ed etico. In futuro, sarà necessario identificare specifici attori per determinare quale livello di politica sia appropriato per garantire l’implementazione del quadro di riferimento proposto.

«Per questo è stato importante avere al tavolo le compagnie spaziali private», sottolinea Rachael Seidler, coautrice del documento e docente di fisiologia applicata e kinesiologia dell’Università della Florida, «perché stanno partecipando a qualcosa che sta aprendo la strada a tutti e che può portare benefici all’intera umanità».

Per saperne di più:

  • Leggi su Science l’articolo “Ethically cleared to launch? Rules are needed for human research in commercial spaceflight” di Vasiliki Rahimzadeh, Jennifer Fogarty, Timothy Caulfield, Serena Auñón-Chancellor, Pascal Borry, Jessica Candia, I. Glenn Cohen, Marisa Covington, Holly Fernandez Lynch, Henry T. Greely, Michelle Hanlon, James Hatt, Lucie Low, Jerry Menikoff, Eric M. Meslin, Steven Platts, Vardit Ravitsky, Tara Ruttley, Rachael D. Seidler, Jeremy Sugarman, Emmanuel Urquieta, Michael A. Williams, Paul Root Wolpe, Dorit Donoviel, Amy L. McGuire

 

Starship, la navetta è stata fatta esplodere in volo

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Progettato per raggiungere la Luna e Marte, il razzo di Elon Musk non ha superato il secondo test in volo. Tre minuti dopo il lancio Starship si era separata con successo dal booster. Quindi il booster è esploso; il secondo stadio ha proseguito il volo, ma prima che Starship potesse raggiungere l’orbita, il centro di controllo di SpaceX ha perso i contatti e circa 12 minuti dopo la navetta è stata fatta esplodere.

«Il test di oggi è un’opportunità per imparare e poi volare di nuovo». Così l’amministratore capo della Nasa, Bill Nelson, ha commentato su X (in precedenza Twitter) il secondo test in volo della Starship, il sistema costituito da un razzo e una navetta che SpaceX sta mettendo a punto per le future missioni su Luna e Marte. «Il volo spaziale è un’avventura audace, che richiede spirito positivo e innovazione. Congratulazioni ai team che hanno fatto progressi nella prova di volo di oggi», conclude, aggiungendo che «insieme, Nasa e SpaceX riporteranno l’umanità sulla Luna, su Marte e oltre».

Come era avvenuto dopo il primo test in volo della StarShip, nello scorso aprile, l’Agenzia federale per l’aviazione (Faa) degli Stati Uniti ha aperto un’indagine sul fallimento del secondo test in volo del sistema che comprende il razzo Super Heavy e la navetta StarShip. Lo rende noto la stessa Faa su X. «È avvenuto un incidente durante il secondo test in volo della Starship di SpaceX, lanciata oggi dalla base di Boca Chica, in Texas. L’anomalia ha portato alla perdita del veicolo. Non si sono registrati danni a persone e cose», si legge nel tweet. «L’indagine viene istituita per garantire la sicurezza pubblica, determinare le cause dell’evento, identificare le azioni correttive e per evitare che l’incidente possa verificarsi nuovamente. Il ritorno al volo del razzo StarShip Super Heavy», conclude l’Agenzia, «si basa sul fatto che la Faa assicuri che ogni sistema, ogni processo o procedura relativa all’incidente non sia rischiosa per la sicurezza pubblica».